Nella tradizione ebraica esiste una linea di pensiero che attraversa la scrittura dal Profeta Isaia al testo della Sapienza, che parla della tribolazione del giusto e del suo rifiuto da parte del mondo. Venite mettiamo alla prova per vedere se Dio lo libera. Dicono gli empi davanti al giusto che denuncia le loro iniquità. Questa accusa sarà rivolta con parole simili anche a Gesù quando sotto la croce, schernendolo diranno: venite vediamo se viene Elia a salvarlo. (Mt 27, 49). E anche nel brano del Vangelo di oggi, Gesù sembra subire la sorte del Giusto perseguitato. Dice di venire dal Padre, ma vogliono arrestarlo. È una lotta che misteriosamente appartiene a tutti i tempi. Anche oggi assistiamo alla lotta fra la fede e la non fede.
Tanti anni fa nel suo libro, Introduzione al Cristianesimo, J. Ratzinger parlava del ruolo del teologo che si trovava a parlare della verità come un pagliaccio che scappava dall’incendio del suo circo e veniva a chiedere aiuto. Diceva una verità, che il circo bruciava, ma essendo un pagliaccio, nessuno pensava che fosse vero quello che diceva. La triste condizione in cui spesso oggi si trova chi annuncia la fede è quella proprio di non essere creduto, di essere considerato come uno che dice una sua opinione molto diversa dalla realtà. Eppure non c’è nessuno più di un credente, più di uno che abbia incontrato Cristo, che possa annunciare la Verità. Non parla di un suo punto di vista, parla di una realtà che lo supera, un incontro che lo ha segnato.
Che oggi i credenti sperimentino questa indifferenza da parte del mondo circostante può essere o un motivo di scoraggiamento, o l’occasione per una vera evangelizzazione. Un’evangelizzazione che non si fa solo a parole, ma con la vita. È urgente che ciascun credente renda sempre più la sua vita evangelica, non scandalizzandosi se questo porta ad essere ignorati o incompresi, cosi come già è successo a Cristo. Solo questa strada percorsa fino alla fine può aprire anche agli altri il passaggio verso Colui da cui tutti veniamo.
✎ don Dario